Lavorare nel mondo della scuola e relazionarsi con i giovani rappresenta una sfida continua: non sempre la passione, le energie e la professionalità di insegnanti ed educatori sono apprezzate come dovrebbero e, in più, bisogna cercare di fornire un servizio adeguato confrontandosi con il continuo taglio delle risorse. A complicare ulteriormente il quadro si mettono anche la burocrazia e la necessità di far fronte a bisogni educativi sconosciuti fino a qualche decennio fa: penso ai BES e ai DSA.
Con il primo acronimo (che sta per Bisogni Educativi Speciali) si rende conto della realtà eterogenea dei gruppi classe in cui, immancabilmente, sono presenti allievi con difficoltà scolastiche imputabili al contesto socio-culturale di provenienza. La Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 sottolinea al riguardo che: “In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse.” Ciò, in termini di didattica, si traduce in una necessaria differenziazione metodologica e in una revisione degli obiettivi minimi richiesti ai BES. Gli insegnanti, ahimè, si trovano a dover operare in solitudine, spesso senza strumenti integrativi e di supporto per mettere in atto queste nuove strategie.
Il secondo acronimo raggruppa i “Disturbi specifici di Apprendimento”: ossia dislessia, disortografia, discalculia e disgrafia. Si tratta di problematiche che investono in misura diversa la capacità di leggere, scrivere, elaborare calcoli e numeri, codificare correttamente quanto letto. La legge 170 dell’8 ottobre 2010 sottolinea in maniera chiara che i DSA “si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana”. Al di là dei risultati scolastici, non sempre soddisfacenti, i ragazzi che soffrono di questi disturbi possono provare vergogna nella vita di relazione, specie con i coetanei, dai quali potrebbero essere presi in giro ed esclusi. Per evitare di incappare in situazioni del genere il punto di partenza è senz’altro un’adeguata informazione, che coinvolga e sensibilizzi a vario livello il mondo della scuola, le famiglie, i ragazzi. Sul fronte scolastico si è intervenuto con “l’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere”: ciò significa che il ragazzo con DSA potrà usare il pc per prendere appunti e/o per fare i temi, consultare mappe concettuali durante interrogazioni e compiti in classe, usare la calcolatrice e un formulario per matematica, essere esonerato, nei casi più gravi, dalle prove scritte in lingua straniera.
A livello teorico il mondo della scuola sta cambiando e prendendo atto delle nuove esigenze di apprendimento e, contestualmente, di rinnovamento didattico, ma a livello pratico talvolta la realtà contraddice il quadro normativo di riferimento e il buon senso. C’è ancora molto lavoro da fare, spesso la difficoltà sta nel far comprendere che la “diversità” non è necessariamente una menomazione, ma talvolta una fonte di ricchezza e di confronto.