La scuola delle intermittenze, contro l’apatia dei giovani.

Mentre spieghi il loro sguardo fissa un punto imprecisato nel vuoto, forse stanno seguendo la caduta libera di un granello di polvere illuminato di sbieco dal neon appeso al soffitto, o più semplicemente eseguono con perizia la tecnica dell’occhio vitreo, ossia si sforzano di tenere aperte le palpebre che, mentalmente, hanno ben chiuse, impermeabili a tutto, anche ai sogni. Di studenti a scuola per accontentare i genitori o meramente per assolvere all’obbligo scolastico (in Italia fissato a 16 anni) se ne incontrano sempre di più. Lo sconforto maggiore di chi, in veste di docente od educatore, si relaziona giorno per giorno con loro è rilevare l’assenza di motivazioni e ancor più di aspettative per il futuro, anche immediato. Constatata la situazione, non si può che iniziare la lotta, spesso snervante per l’adulto che accetta di ingaggiarla: molte domande, esortazione, proni cadono nel vuoto, ma a volte la lettura di un brano, l’accenno a fatti di attualità o il sottolineare che in una società competitiva come la nostra bisogna differenziarsi dalla massa per emergere e trovare il proprio spazio, accendono barlumi di interesse. Ma per la loro stessa natura sono intermittenti.  Per risultare vincitori, o almeno per non essere sopraffatti, in questo confronto sui generis bisogna porsi l’obiettivo di diminuire l’intervallo intercorrente tra una scintilla d’interessamento e l’altra. Da quelle intermittenze può nascere non solo un terreno di confronto, ma soprattutto la motivazione a credere in un progetto e a porsi degli obiettivi, uscendo così da uno stato di apatia che rischiava di diventare cronico.

triste

I dati Eurostat relativi alla dispersione scolastica nel nostro paese mostrano una tendenza al recupero, ma il 17,6% attuale di studenti che interrompono gli studi è una percentuale ben lontana dal 15%-16% da raggiungere entro il 2020. Che la situazione sia una conseguenza indiretta dei tagli vergognosi operati negli ultimi anni al comparto scuola poco importa, le percentuali rimangono allarmanti, soprattutto se, in prospettiva, si pensa alla difficoltà di trovare un impiego a giovani poco specializzati e con competenze, sia pratiche sia teoriche, molto labili. Dai dati emerge tra l’altro che solo Grecia, Malta e Romania fanno peggio di noi. La dispersione scolastica mediamente, su un campione di 100 ragazzi, in Italia interessa 76 maschi, che lasciano la scuola specie nel primo biennio superiore.

È evidente che servono politiche sociali più attente ai bisogni delle nuove generazioni, che favoriscano davvero l’alternanza scuola-lavoro per i soggetti con minore motivazione al proseguimento degli studi e che recuperino i cosiddetti Neet: individui in età lavorativa e formativa che però non studiano e non lavorano, né si impegnano nella ricerca attiva di un’occupazione. I giovani sono la vera risorsa del nostro paese, ma un’epidemia di scoraggiamento, disaffezione all’istruzione, scarsa informazione e poca conoscenza delle politiche di partecipazione attiva rischiano di annichilirla.